
Palazzo900editore

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IL REGALO
1874.
Una novella nella quale degli improbabili personaggi si trovano asserragliati nell'alloggio del guardiano di un faro nel mezzo di una burrasca di tali proporzioni da scuotere l'anima e far traballare la ragione. Tuttavia, scrive Faidiga alla fine del primo capitolo: "...non sempre le situazioni più complicate volgono al peggio, capita, di tanto in tanto, che il fato conceda che un accadimento inaspettato muti il corso degli eventi. Allora la storia può essere ripensata, accresciuta di buoni sentimenti e migliorata da un finale più lieto."
E infatti, l'autore, con questa novella natalizia dal sapore surreale, linguaggio che sempre caratterizza le sue invenzioni letterarie, è riuscito ancora una volta a sorprenderci e a regalarci delle buone emozioni, di quelle che fanno star bene e in fondo ci fanno sentire migliori.

Lettera dell'editore
Si inaugura una nuova stagione per la nostra casa editrice riprendendo l’abitudine ottocentesca al romanzo d’appendice, quello, per intenderci, pubblicato a puntate sui quotidiani, le cui pagine accolsero le opere “spezzettate” di gran parte degli scrittori dell'epoca.
Balzac, Hugo, Dumas, Tolstoj, Dostoevskij sono solo alcuni degli autori che hanno presentato, avvalendosi della formula editoriale delle uscite multiple, ai lettori le loro intramontabili opere, tra le quali annoveriamo "I miserabili", "I tre moschettieri", "Madame Bovary", "Oliver Twist", "Guerra e pace" pubblicato capitolo dopo capitolo nell’arco di ben quattro anni, per giungere ad Agatha Christie e Sir Arthur Conan Doyle ideatore dell’investigatore più noto della storia della letteratura, Sherlock Holmes.
La redazione di palazzo900editore, con la medesima intenzione e la convinzione di poter raccogliere parte dell'interesse di allora, propone ai suoi lettori un'opera letteraria a "puntate" e liberamente fruibile, godibile a poco a poco, un’opera del tutto originale che ha l’ambizione di ritagliarsi un proprio spazio nell’odierna realtà letteraria.
Le “Variazioni sul tema”, dell’autore Michele Faidiga, che segue “Il sospiro del violoncello”, racconto favorevolmente accolto, si propone come un testo di narrativa originale per ideazione, struttura e forma. L'opera è ripartita in trenta parti, o meglio “variazioni ”, che si susseguono indipendenti ma legate da un tema comune. Trenta personaggi che reagiscono ognuno a suo modo a un evento singolare e inatteso, l’apparire di un' entità immobile all’orizzonte. Trenta novelle a pubblicazione mensile, destinate ad essere raccolte in un unico volume, tramite le quali Faidiga, con l'ausilio della sua peculiare scrittura, indaga pacatamente alcuni aspetti dell'umano sentire.
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Romanzo d'appendice

Variazioni sul tema
di Michele Faidiga
Tema
Dalle pericolanti e infeconde vette alle fertili piane pascolate, dalle gelide acque artiche alle spiagge alabastrine fiancate da palmizi, dai marmorei balconi di città alle sonnolente casupole di qualche rado paesello, dalle fabbriche, dalle risaie, dalle miniere a cielo aperto fortuna e sventura di molti, dagli schermi divinità di ogni abitazione o luogo d’incontro e di socievolezza, dai tanti luoghi spopolati e più adatti alla nostra spontanea selvatichezza, in ogni cantuccio di questa terra grama laddove s’è barbicato l’uomo, ovunque, incombeva immobile e silenziosa quella forma indefinita.
Apparsa alla chetichella la mattina della prima domenica di febbraio, mese poco incline alle novità, s’era piazzata all’orizzonte come nulla fosse, sgomitando un po’ sia detto, ma senza una vera prepotenza, una o due spinte, tanto da guadagnarsi un posticino “in prima fila” e li restarvi a fare chissà che, perfettamente immobile e del tutto inutile. Che dire, se ne stava lì, senza apparente volontà, lasciandosi amare da questi e odiare da quelli, disattenta, incurante del putiferio causato di sotto. Contemplata dagli animi più sensibili, magnificata, esaminata in ogni minuzia, a nulla erano valse le proteste di molti che le imputavano, tra grida e cartelli sbilenchi, il peggioramento del naturale confine tra cielo e terra, quella linea dell’orizzonte che incombe dal primordio sulle travagliate vicende umane.
Le sue origini, ipotizzate diverse, incutevano timore e religiosità. Interi popoli riconobbero in essa il manifestarsi dell’attesa profezia, il compimento del disegno divino, altri denunciata la sua genesi infernale si preparavano al peggio. In realtà, se di realtà si può parlare, quell’affare era sempre stato lì, alla giusta altezza e in quel preciso angolino, non un po’ più in qua e neppure un po’ più in là, visibile o invisibile secondo un principio del quale non è dato sapere. Ciò detto, non rimane che riferire di coloro ai quali, per questo o quest’altro motivo, essa s’è rivelata.

Variazione VIII
Settembre 2024
Lo stolto
Non vi era nulla che potesse distoglierlo dalle sue pallide considerazioni che si susseguivano senza peso, rincorrendosi l’una all’altra.
Proprio così, Orazio Calabrache si abbandonava mollemente a tali fiacchi esercizi mentali allo stesso modo in cui giaceva, non privo di una certa eleganza, sulla poltrona di velluto scarlatto posta nell’ angolo del salottino di casa ove riceveva tutti i giorni tranne il giovedì, giornata destinata al riposo.
Questo galantuomo da boudoir godeva di quella corrotta capacità di trattenere ogni frivolezza, di attaccarsi morbosamente alle conversazioni meno assennate, nell’intento, era questo il suo vero impegno, di riformulare teorie apparentemente nuovissime ma in realtà logore e inconsistenti quanto e più di quelle originali, adatte solamente a mantenere la discussione e ravvivare le soirées.
Dopo il tramonto, le malattie del secolo, l’educazione dei figlioli, l’accettazione dei forestieri, l’operato del re e del suo gabinetto, criminalità e povertà, ognuno insomma dei grandi temi che gravano sui popoli, venivano discussi con la gaia leggiadria di una farfalla che si posa di fiore in fiore, dimodoché secoli di rigogliosi convincimenti inaridivano in un battito d’ali, stropicciati e ridotti a brandelli dalle boutades dei convenuti. Brandelli raccattati uno ad uno dal Calabrache che li ricuciva a casaccio, confezionando mirabolanti e sfacciati ragionamenti, sostenuti lì per lì da una quantità di espressioni fragorose, più adatte alle frottole che a descrivere il vero.
Null’altro che parole. Parole distribuite in ordine sparso, pensierini da poco, compitini elementari, scandite filastrocche capaci di obliare la mente già corrotta degli ospiti, questo è quanto si udiva ogni sera, salvo il giovedì, in quella casa e in molte del quartiere ed in altre ancora della città.
Accadeva che il seme di una scemenza, proferita a tinte smargiasse dal Calabrache, germogliasse nelle menti degli ospiti, radicandosi nel fertile humus dell’indolenza e della mediocrità, riproposto a più riprese, perfezionato, se possibile, nella sua inconsistenza. Mille e più futili affermazioni, pochezze che si concretavano in una fitta rete cittadina di corbellerie che andava allargandosi, e allargandosi sempre più, fintantoché all’orizzonte non comparve quella forma inattesa che, senza una vera fatica, ne disfece la trama e ridette il buon senso.
Ma andiamo per gradi. Il giorno stesso in cui comparve quell’oggetto sospeso nel cielo azzurrino, Orazio, sprofondato nella sua poltrona, elaborò in un batter d’occhio una singolare teoria, dopodiché chiamò il maggiordomo e fece recapitare gli inviti per una riunione chiarificatrice. Si trattava di un giovedì, ma questa volta si sarebbe fatta un’eccezione occorrendo di rassicurare e spiegare.
“Illustri concittadini, circolano le notizie più strampalate riguardo la sfarfallante intrusa, ma posso assicurarvi che nessuno ha ancora intuito la verità. Io, all'opposto, ho riflettuto, ho usato il cervello come Dio comanda e sono giunto a una conclusione de-fi-ni-ti-va che pone fine alla questione.” Esordì Orazio, dalla suo pulpito di velluto, i gomiti ben piantati sui braccioli, le dita incrociate e il fare di colui che ha appena rischiarato la notte.
“In primo luogo, confermo che gli scienziati, coloro che dettano legge su ciò che è giusto e ciò che non lo è, non sanno che pesci pigliare. Scontato. Loro palesano la necessità di raccogliere più informazioni, più dati da poter elaborare. Scontato. Insomma, questi “luminari”, asserviti ai protocolli, sono costretti ad esaminare e fare di conto, ritirandosi lungamente nei loro sciagurati templi, abbandonando la città nel panico. Mentre io, uno di voi, ho fatto uno più uno indovinando prontamente il carattere della nostra ospite.
Inutile dire che questi cialtroni votati al metodo ed asserviti alle regole, non mi credono e persistono nella loro sterile ricerca, senza capire. E non possono capire poiché la loro indagine è tarata alle fondamenta, non tiene conto dell’insieme, non prende in considerazione l’elemento principe dell’universo, quell’energia cosmica che permea ogni cosa.
Lo capite adesso come vanno le cose nel mondo della ricerca? Loro, gli “accademici” col berretto a punta e il lapis in mano, annegano in un mare di numeri, trascinati, sballottati in un turbinio di formule indecifrabili. Una marea di equazioni, logaritmi, derivate e integrali che annacquano la loro coscienza. Questi geni si attribuiscono il merito del progresso e di tutto ciò che v’è di buono al mondo, mentre con le loro fandonie, le loro sperimentazioni, ci fanno ammalare, ci fanno uscire pazzi, ci usano come topi in gabbia.
Cittadini, la scienza è un abbaglio, è necessario reagire e affrontare a viso aperto questi ciarlatani cresciuti gobbi nel corpo e nella mente, sempre intenti a corrompere ciò che è integro, diabolicamente attratti da quanto vi è d’oscuro e incomprensibile. Non li si capisce.”
“Non vi capiamo! Non vi crediamo!” Scandì il fornaio di Largo Panfili, che preparava le migliori pagnotte del quartiere e ogni fine settimana le proponeva ai quattro cereali, meno raffinate ma indicate per il controllo della glicemia.
“Non vi capiamo! Non vi crediamo!” Fecero eco gli altri , persuasi dall’oratoria del Calabrache e ancor più dal dolce sentore di pane appena sfornato.
“Signori miei, lo ridico una volta per tutte, questi uomini di scienza non sono capaci di risolvere e non sono in grado di curare. Non sono in grado, è un fatto.
“L’unica certezza è quella di essere certi di non sapere”, è il motto di questi mascalzoni. Lo vedete che la filosofia gli ha narcotizzato il cervello, che la matematica gli ha indurito il cuore, ed ora non sono più in grado di ragionare?
“Ciò che si vede esiste, quello che non si vede non esiste”, questo è il mio motto, ci provino a confutarlo, altro che incertezze! A nulla serve rimestare alla cieca, in profondità, correndo il rischio di stuzzicare il diavolo. Non fatelo.”
“Non stuzzicate il diavolo. Non fatelo.” Strillò atterrita la moglie del fabbro, organizzatrice di incontri per la promozione di contenitori multicolori adatti a tutti gli alimenti, anche liquidi. Unica della città in grado di riorganizzare un frigorifero in soli dieci passaggi.
“Non stuzzicate il diavolo. Non fatelo.” Replicarono gli altri ma con meno impeto, impazienti di rientrare per la cena.
“Calabrache si ha fame, dicci quello che hai da dire o noi si va via” Lo esortò il Crognaletto, un tipetto smilzo e nodoso, stimato per aver perso cinque chili seguendo la dieta “chetogenica”, sette con la dieta “alternata”, e altri nove con quella “chetogenica-alternata”.
Per un individuo sano la dieta chetogenica è controindicata, il controllo del peso tramite un regime dietetico sbilanciato è poco salutare.
Per un individuo sano la dieta alternata è controindicata, il controllo del peso tramite il consumo di un unico pasto giornaliero è poco salutare.
Per un individuo sano la dieta chetogenica-alternata è controindicata, la perdita di peso ottenuta seguendo un regime dietetico sbilanciato che prevede un unico pasto giornaliero è due volte poco salutare.
“Compagni, cittadini, amici, è giunto il momento della verità.” Sancì il Calabrache. “Abbandonatevi, liberi da ogni speculazione, ebbri di quell’energia positiva che plasma il cosmo e volgete lo sguardo al cielo con l’innocenza di un fanciullo. All’istante comprenderete che quell’affare è solamente una parte del tutto, null’altro che una sfera poco luminosa che persiste sopra la linea dell’orizzonte. Non vi è nulla di insolito in questo. Pensateci, vi siete mai chiesti perché sono stati creati il sole e la luna? E i pianeti? Qualcheduno vi ha mai spiegato l’utilità delle stelle? Ebbene tutto ciò vale anche per la nuova arrivata e non occorre di sapere altro. Dipingetela, decantatela, sognatela, e poi riponetela in soffitta tra le cianfrusaglie inutili da svendere al rigattiere un tanto al chilo."
Orazio Calabrache, magnifico nella sua poltrona scarlatta, gongolava tra applausi ed acclamazioni quando ad un tratto la sfera prese corpo e luminosità, gonfiandosi prima di emettere un segnale, non sonoro, piuttosto un’onda gelatinosa che attraversò senza dolore ognuno dei convenuti, addormentandoli all’istante di un sonno collettivo.
Al risveglio la marmaglia ristette ammutolita in una sorta di immobilità generale pregna di disagio e amarezza. Trascorso un tempo imprecisato, alcuni scotendo il capo, altri sospirando o lagrimando, altri ancora battendosi il petto si riversarono sulla pubblica via dando luogo a ogni sorta di bizzarrie.
Si seppe, in seguito che quell’onda psichica, emessa dall’entità curativa, aveva penetrato le coscienze rendendole più fertili, capaci se non di comprendere, perlomeno di intuire gli scopi e la ragione dell’indagine scientifica. Nel sogno avevano potuto saggiare l’onesto entusiasmo di chi, dotato di grande ingegno, spende la propria vita per prevenire, curare e migliorare l’esistenza dei propri simili. Per qualche attimo, seppure in fase embrionale, avevano provato della rabbia verso l’informazione corrotta, la falsa scienza, l’ignoranza da cui origina e l’arroganza di chi se ne fa promotore.
Dimentichi dell’accaduto, ma con la mente migliorata, gli abitanti della città cominciarono a dubitare delle fanfaronate del Calabrache e disertarne il salotto. Il grand’uomo all'opposto, riparato dall’onda benefica poiché sprofondato nella sua poltrona, non ne subì alcun effetto. Unico stolto tra persone di rinnovato buonsenso, si mise in marcia lasciandosi alle spalle fori cadenti e atri muscosi, vagando, pensoso, per strade sterrate e irti sentieri, guadando fiumi e solcando mari. Deciso a raggiungere, a qualunque costo, l’ultimo lembo di terra, dal quale potersi sporgere e guardar giù. Attento a non cader di sotto.
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Alessandra Bianca
Urla in me Tempesta
Viviamo anni come non mai. Difficile tracciare la rotta, indicare un punto fermo verso il quale orientarsi, arduo ritrovarsi in questo turbine di vicende e cambiamenti repentini e inaspettati. Perciò ho ritenuto imprescindibile pubblicare questa raccolta di poesie di Alessandra Bianca, versi che hanno la forza espressiva, l’efficacia di un faro nella tempesta.
Le sue parole, appena bisbigliate, placano i sussulti dell’irrazionalità e ci conducono necessariamente verso quella ragione inconfutabile che non ha tempo né luogo.
La parola Pace, nella poetica di questa artista capace come pochi di cogliere l’essenza dei luoghi, delle circostanze e delle emozioni, non è solo un augurio, ma molto di più, è l’affermazione ultima del fatto che sotto un solo cielo stellato esiste uno e un solo uomo… “fatto delle mie stesse follie, smarrito nel medesimo bosco, ebbro delle stesse mie fantasie.”
L’editore

Michele Faidiga
Il sospiro del violoncello
Il "Bosco da musica", di quella qualità di legno dalla fibra elastica capace a sostener le note senza calar di tono. Mastro Casali, liutaio nella Valle dei sospiri e infine Alexej Nicolini Pavlonj, il più virtuoso violoncellista del regno. Questi i personaggi e i luoghi attorno ai quali Faidiga ha costruito questo racconto che è un inno alla musica e a coloro che si adoperano per renderla perfetta e universale. Una novella allegra ma non troppo, scritta nello stile garbato, fiabesco ma non tanto da distoglierci dalla realtà, che caratterizza le invenzioni letterarie di questo autore. Abbandonati i capitoli il testo è suddiviso in quattro “movimenti" e un Gran finale, un "Adagietto cantabile" rimato e cadenzato, concertato tra l’uomo e l'alpe, una lode a quella musica silvestre che ci incanta dai primordi.


Michele Faidiga
Racconti fantastici
Una palazzina che si nasconde ai passanti per carpirne le buone intenzioni. Una rotatoria stradale apparentemente inutile, sorta nel bel mezzo di una stradina di campagna. Una ragazza che eredita dalla nonna il "dono" di vedere nell'anima delle persone con un semplice tocco delle labbra e infine un marito che riversa la propria insofferenza sulla moglie fino a quando ...

Michele Faidiga
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Marina, giovane dottoressa allo stremo delle forze, soccorsa dal fantasma della sua detestata maestra elementare. Un soldato di nome Gesù che vuole apparire il diavolo e finisce per assomigliare sempre di più al Redentore e dulcis in fundo la commovente storia d'amore di Karim e Maryam due giovani alla ricerca di un futuro migliore che sfuggono a un terribile destino la notte della Vigilia di Natale.

Michele Faidiga
Shoah
Un racconto di fantasia. Scritto nella Giornata della Memoria allo scopo di insegnare ai miei figli quanto male, quanta sofferenza può causare l’odio razziale. Credo di non esserci riuscito, perché non sono all’altezza e perché per descrivere il tormento di coloro che hanno subito la Shoah non bastano tutte le parole del mondo.

Michele Faidiga
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Due animi opposti che si incontrano, si attraggono e insieme decidono di rilevare una vecchia libreria, "che non è il paradiso in terra ma poco ci manca". Per finire uno scritto scherzevole sul rapporto litigioso tra uno scrittore e i suoi scritti.
